È certo che quasi tutti gli scrittori e i poeti russi che vennero in Italia, e in particolare a Roma, visitarono anche Tivoli, anche se non tutti hanno lasciato una testimonianza scritta o pittorica di tale visita.
Le visite a Tivoli furono solo di rado compiute da singoli. I russi a Roma, a quanto si può dedurre da memorie e corrispondenze private, amavano visitare non soltanto la città, ma anche i dintorni in compagnia; spesso erano i residenti che accompagnavano i nuovi venuti, talvolta con funzione di guida, una funzione che talvolta era esercitata da altri stranieri, già familiarizzatisi con Roma e i suoi dintorni.
"Tempio di Vesta a Tivoli"
Silvester Scedrin
(San Pietroburgo, 13 febbraio 1791-Sorrento 8 novembre 1830)
In “Immagini d’Italia” il letterato e storico d’arte russo Pavel Muratov così scrive di Tivoli :
« Il frastuono delle cascate si solleva fino al Tempio della Sibilla, e il pulviscolo acqueo vola in alto come una colonna bianca. Il dovere chiama il viaggiatore a scendere fino al fondo della forra, dove cade l'Anio con le famose cascate di Tivoli.
E' quasi una discesa agli inferi. Gradini sdrucciolevoli portano ad una enorme fossa, nella quale un notevole gomito del fiume precipita quasi a piombo.
L'eco delle rocce ripete il mugghio della cascata, l'aria è bianca di pulviscolo acqueo; nella grotta sotterranea, attraverso la quale le acque hanno trovato una via d'uscita, si è involontariamente presi da un senso di raccapriccio.
Qui sembra confermato che l'antica Tibur dovette avere qualche rapporto con la magia e non per niente è detta la città della Sibilla.
Ritratto di Pavel Muratov.
Disegno a matita, Mosca, 1921
Queste stesse acque dell'Aniene suscitano un sentimento del tutto diverso nella villa d'Este.
Il modello eterno di una villa romana, che incatena la nostra immaginazione e rappresenta una nostra eterna fantasia.
Là scorrono acque abbondanti, formando tranquilli bacini cristallini e spruzzando getti di fontane che brillano al sole. Le larghe terrazze sono ornate da file di statue scurite dal tempo. Scalinate rotonde portano ad esse; un grosso strato di muschio verde ricopre le balaustre. I viali passano sotto volte di querce sempre verdi. I raggi del sole screziano i sottili fusti delle macchie di mirti e di lauri. Boscaglie di felci occupano le umide grotte abbandonate, tenere erbe di antri pendono dai loro soffitti. Panchine di marmo stanno sotto i vecchi ali cipressi le cui dure pigne resinose risuonano sordamente cadendo sul marmo. Tutto ciò si trova nella villa d’Este e nessuna immaginazione è capace di raffigurarsi la grandiosità delle scalinate che scendono senza fine e Ia ricchezza delle sue acque, lo sperperio delle fontane, l'ampiezza della Campagna, che si apre allo sguardo dalle sue alte terrazze. Da queste terrazze il viaggiatore vede non lontano gli annosi uliveti di Tivoli e le rovine della villa Adriana nascoste in cumuli di verde.
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Tratto da :
Società Tiburtina di Storia e d’Arte, Atti e memorie, vol. XLV, Tivoli 1972