Fra i silenzi del Colle, ancora oggi si ergono, come sentinelle del tempo, i resti severi della Porta Maiore – chiamata anche Porta Romana. Pietre antiche, consumate dal vento e dalle leggende. E una di queste storie, narrata da generazioni, corre come un fiume nella memoria della città: una storia in parte vera… e in parte gonfiata dall’infaticabile fantasia della gente.

Ma quell’ordine fu conseguenza di un episodio memorabile.
In un assalto alla porta principale di Tivoli, le avanguardie romane si erano spinte fin sotto le sue mura. Quella porta, all’epoca, era a saracinesca. E proprio mentre i romani si preparavano a sfondarla, essa si alzò improvvisamente… Non per lasciarli entrare, ma per riversare su di loro un’onda impetuosa, una cascata d’acqua liberata con astuzia dai tiburtini. I legionari, travolti e fradici, fuggirono in preda al panico, e così nacque la beffarda leggenda dei romani cagallacqua.
Umiliati, i romani giurarono vendetta. Si trincerarono a Ponte Mammolo, fermando ogni passante. Chiedevano il paese d’origine e, se qualcuno osava dire “Tivoli”, lo marchiavano a fuoco sulla fronte, senza pietà.
Un giorno, un tiburtino in viaggio scoprì l’oscuro piano. Capì che se la notizia non fosse corsa veloce, la sua gente sarebbe caduta vittima di quella crudele trappola. Corse dunque fino a Tivoli, e sotto il manto della notte gli abitanti costruirono un nuovo ponte sull’Aniene, attraversandolo di nascosto e aggirando così il blocco romano.
Ma non si limitarono a salvarsi: quando gli abitanti di Castel Madama passarono da Tivoli diretti a Roma, i tiburtini, con malizioso sorriso, consigliarono loro di dichiararsi “di Tivoli” per avere libero passaggio. I poveri castellani, ignari dell’inganno, giunti davanti alle sentinelle romane pronunciarono la fatale parola. E furono marchiati.
Da allora, nella memoria popolare, rimase la beffa crudele: la storia dei cotti in fronte
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